Peregrinazioni e illuminazioni

La voglia di scoprire è la ragione di ogni partenza.

MARINO NIOLA

La vita è un viaggio da fare a piedi, diceva Bruce Chatwin, lo scrittore più on the road del Novecento. Per lui la fretta di arrivare a destinazione aveva qualcosa di pornografico. Perché l’autore de Le vie dei canti considerava la velocità nemica di quella poesia dell’erranza e di quel desiderio di scoperta che dovrebbero essere la ragione autentica di ogni partenza. Come dargli torto, visto che partire vuoi dire letteralmente dividere. Cioè separarsi dal proprio mondo, per scoprire un lato straniero di sé.

D’altra parte tutte le parole che hanno a che fare con il viaggio sono legate alla ricerca, alla conoscenza, all’esperienza come precondizioni dell’umano. Non a caso il tedesco Erfahrung, che significa esperienza, deriva dall’antico verbo Irfaran che vuol dire viaggiare. E addirittura, in tibetano, uomo e viandante si dicono con lo stesso vocabolo.

Certo sembrano semplici suggestioni romantiche, fantasie letterarie spazzate via dall’inesorabile algoritmo del low cost e del last minute. E invece oggi, nel dilagare barbarico di orde turistiche aviotrasportate da un cielo all’altro, rispunta a sorpresa il fiore volubile della peregrinazione. Che porta migliaia di persone a riscoprire il fascino ondivago del walkabout, l’andirivieni rituale degli aborigeni australiani in cerca di canti sconosciuti. Ad assecondare il richiamo della divagazione spaziale.

“Tutte le parole che hanno
a che fare con il viaggio
sono legate alla conoscenza,
all’esperienza, alla ricerca
come precondizioni dell'umano”

Spesso a piedi, proprio come gli antichi pellegrini che dei viaggiatori moderni sono gli antenati. O in bicicletta come nell’Ottocento, quando il velocipede e il cicloturismo nascente rendono possibile una mobilità individuale fino ad allora impensabile.

Così, quando l’industria turistica sembrava aver trasformato il villaggio globale in una rete metropolitana con le ali, è arrivata la sharing economy con i suoi sistemi di trasporto informale, come BlaBlaCar. Che non servono solo a risparmiare denaro. Ma ad impiegare diversamente il tempo. A convertirlo in esperienza e in relazione. In conoscenza dell’altro. E il vero viaggiatore, come diceva Baudelaire, è quello che parte per partire e basta. La sua via non è una retta, né una rotta, ma un labirinto. In cui è bello perdersi per poi ritrovarsi alla fine del cammino. Che è proprio quel che succedeva ai cavalieri erranti come Lancillotto, il campione della Tavola Rotonda. O ai chierici vaganti come Guglielmo da Baskerville, il protagonista de Il nome della rosa di Umberto Eco. O ai personaggi delle fiabe, sempre in giro alla ricerca di qualcosa che gli manca, e che scopriranno solo alla fine dell’erranza.

Insomma, viaggiare significa cedere tempo per guadagnare vita, trasformare la propria storia in geografia. Forse per questo sta tornando lo slow motion. Una sorta di rallenty esistenziale. Perché anche i millennials sono alla ricerca di nuovi canti che diano un altro senso al loro cammino.
Dolcemente viaggiare, rallentare per poi accelerare, con un ritmo fluente di vita nel cuore.

Da La Repubblica RClub Uomo del 3-XI-2016

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