ELBA 2009

Domenica 3 Maggio

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Ore 9 circa: si muove la "strana coppia" dei due ciclisti bracaloni-fai-da-te, formato famiglia. 
Tempo previsto -dagli appositi siti in rete- sole, sole e sole per almeno tre/quattro giorni, poi si vedrà. Davanti a tanta ottimistica sicumera internettiana, ho pensato bene di portare due mantelline. Al solito bagaglio, comunque, ho aggiunto anche un telo da spiaggia

Di solito l'entusiasmo è una caratteristica dei giovani, mentre la perplessità appartiene a una fascia d'età più anziana, ma stavolta le parti si sono invertite, almeno a giudicare da pensieri e parole dei due protagonisti:

Evvai! Si parte!
Alé oh oh, Alé oh oh!
Ma si va? Si va davvero? Dé, sì, ormai... (accident'a me!)

Appena caricati i bagagli nelle sacche posteriori delle bici (con qualche difficoltà perché il fatto di andare in auto non ci ha spinto a risparmiare pesi e ingombri), ci rendiamo conto che, in una Panda occupata già dal guidatore e da un passeggero, due bici non possono proprio entrarci, senza essere smontate. Svuotiamo le sacche e togliamo le ruote anteriori, spingiamo avanti i sedili e, un po' a forza,  finalmente il portellone posteriore si chiude: basta appoggiare gli incisivi sulle rotule e non fare respiri troppo profondi e si riesce perfino a sopravvivere.

Ore 10 circa: partenza effettiva.
Ore 10,10 imbocco della tangenziale, direzione Sud.
Ore 10,11: ci accorgiamo che il serbatoio del gas è completamente vuoto (avevamo optato per la Panda a GPL di Arianna perché così il viaggio costava molto meno).
Ore 10,15 uscita dalla tangenziale e rientro in città.
Ore 10,20- 10,55 ricerca (vana) di un distributore aperto di domenica con servizio GPL
Ore 11 circa: alla malora il GPL, un bel pieno di benzina come ai vecchi tempi prima delle crisi petrolifere e via sulle rotte del sud, nel sole e nel vento come due hippy "old sixties"; beh, no, il vento è meglio di no: uno dei due hippy ha un inizio di mal di gola ed è meglio socchiudere il finestrino.

ore 12 circa: San Vincenzo; i cartelli per l'imbarco indicano di proseguire ancora a diritto sulla SS1, ma il vecchio lupo di terra ricorda che ai suoi tempi la costiera del viale della Principessa era decisamente più breve, più verde e meno trafficata; perciò  a destra!

ore 12,30: il vecchio lupo di terra, dopo interminabili minuti dietro a mamme con carrozzina, surfisti in motorino dediti allo slalom tra le auto in coda, ciclisti della domenica (per l'appunto!) con famiglia al seguito puntualmente dislocata per largo sulla carreggiata, qualche traballante "Apino" 50 cc trasformato in rivendita ambulante di brigidini, vecchi cimeli a quattro ruote, fumiganti di idrocarburi incombusti e oli aromatici assai poco aromatici, si rende conto che forse in 35 anni le cose possono anche cambiare.

Ore 13: finalmente Piombino. La viabilità è completamente rinnovata, ma per fortuna ci sono i cartelli che indicano con chiarezza la direzione del porto. "I cartelli! Eh, è indispensabile seguire i cartelli: lo dico sempre io...". Arianna preferisce non commentare.

Per non rischiare problemi di parcheggio al porto e percorrere simbolicamente in bici almeno gli ultimi metri, scegliamo di parcheggiare l'auto lungo un ampio viale; rimontiamo senza troppa fatica bici e borse e giù verso il mare. In realtà il porto si rivela molto più distante, ma la cosa non sembra aver importanza. Per ora. Intanto già che ci siamo, si decide di fare i biglietti ad una delle tante agenzie per strada. Intenzionati a prendere la compagnia che a) costa meno e che b) parte per prima, finiamo non si sa come per prendere quella che c) costa di più e parte dopo; ma questi sono dettagli che non possono turbare l'incipiente vacanza. Ci pensa invece il tempo a turbarla un po' quando rannuvola e nell'aria innaturalmente calda e afosa cominciano a cadere le prime gocce da un cielo improvvisamente nero-pece. 

Ci si imbarca in fretta; lo status di ciclisti ci permette di superare decine di auto in coda. Il tempo di legare le bici e di salire in coperta e il traghetto salpa sotto un cielo tornato limpido e fresco: delle minacce di temporale non c'è più traccia: potenza del clima elbano. Sotto questi ottimi auspici, ci affacciamo alle murate sottovento e assistiamo allo spettacolo sempre stupefacente delle due rive opposte che alternativamente si  rimpiccioliscono e sfumano, riacquistano contorni, nitidezza e dimensioni.

Sbarcati, in tutta fretta, si cerca un posto dove fermare l'appetito; quindi, attraversata rapidamente la zona del porto e lasciato Portoferraio alle spalle in direzione di Porto Azzurro, con uno sprint un po' avventato, inizia l'avventura elbana vera e propria. 
Carte e tabelle, raccolte durante interminabili ore di preparazione, dicono che Lido di Capoliveri dista poco più di 10 km, su una striscia pianeggiante orlata da rilievi modesti; insomma un tratto da percorrere ad andatura rapida e senza patemi.  In teoria.

Guarda che mare, e che verde e che cielo e che aria tersa... 

Andiam, andiam; andiamo a pedalar...

Ah ah, bello [veramente il mare non si vede più, c'è puzza di gas di scarico e c'è un sole che spacca le pietre, ma chi glielo dice?]

Guarda, Ari, qui c'è il bivio per l'Enfola... e qua quello per Procchio e Marciana Marina; da lì invece si taglia per Lacona e ...

Mmmh, sì, sì, ma quanto manca ancora? [ma chi me l'ha fatta fare?]

E poco più avanti, pensa, sono segnalati anche dei resti di una villa romana. Perché, da queste parti, dopo gli Etruschi, i Romani...

Ah, ecco, interessante; però non correre...
 Puff, puff... ma cosa sono quelle colline là davanti? Mica ci sarà da salire?

Nooo. Vai tranquilla, è tutta pianura, al massimo ci sarà qualche saliscendi da 5-10 m., meno di un cavalcavia Mmmh... Sarà... [me la sono proprio voluta]

In realtà ancora una volta l'esperienza dimostrerà come sia fallace il calcolo, a tavolino o per sentito dire, della difficoltà di un percorso: il traffico più sostenuto del previsto, una salitella dura soprattutto perché inaspettata, unitamente al peso dei bagagli e della pizza appena divorata, avvertono che questo cicloviaggio costituirà per Arianna un battesimo ciclistico tutt'altro che pacifico. 
La salita delle Grotte, dove è localizzata la zona archeologica della Villa Romana, non è lunga (1 km circa) ma abbastanza impegnativa per chi viaggia carico e senza allenamento sotto il sole. 
Una breve sosta in cima alla salita e la discesa graduale permettono di riprendere fiato e di affrontare con maggior tranquillità la seconda parte del tragitto, nella consapevolezza che non si prevedono altre salite.
A tre quarti d'ora dalla partenza si giunge  finalmente a Lido di Capoliveri, dove si deve lasciare la provinciale per Porto Azzurro per raggiungere l'hotel.

Eccoci, arrivati ora si gira a sinistra e si sale all'hotel Villa Wanda... Si sale? Come, si sale? O non erano finite le salite?! Ohimmei...

In effetti, anche se limitato a un centinaio di metri soltanto, il tratto ci coglie impreparati: è ripido assai, tortuoso e in parte sterrato; non resta che farlo a piedi. I mugugni di Arianna sono, però, interrotti dalla vista di Villa Wanda, una struttura ariosa ad L, addossata alla collina, con un giardino curato e fiorito, un ampio parcheggio e le stanze che si aprono sulla veranda centrale. Anche la nostra stanza è più che soddisfacente, come pure il cibo e il personale giovane e disponibile; insomma un due stelle che ne vale quattro -comunque meglio del semplice B&B di cui ci saremmo accontentati- e oltretutto davvero economico considerati i prezzi correnti dell'Elba: 30 € pernotto + prima colazione che salgono a 40 € con la cena.

Seconda parte del pomeriggio dedicata a una visita alla vicina Capoliveri: partenza  in direzione di Porto Azzurro, a destra al bivio per Capoliveri e poi circa 3 km di salita a tratti impegnativa fino al paese. Stavolta Arianna, o preparata psicologicamente, o rassegnata, o semplicemente perchè non più appesantita dai bagagli lasciati all'hotel, pedala senza troppi brontolii. La visita a Capoliveri è suggestiva e ripaga della fatica fatta. Il paese è arroccato in cima a un poggio, da cui domina il mare sia  a SW col golfo Stella, in direzione di Lido e Lacona, sia a NE con le insenature su cui si affacciano Naregno, Mola, Porto Azzurro. Nonostante la fitta frequentazione turistica (o forse anche grazie ad essa), ha conservato la sua struttura originaria, fatta di una piazza centrale da cui si dipartono stretti e tortuosi acciottolati con improvvisi "balconi" aperti sui caratteristici tetti rossi delle case in pietra e sull'ampio panorama sottostante.

Il rientro alla base è ovviamente più rapido dell'andata, giusto in tempo per la cena. Spolveriamo con gusto tutto quello che ci viene portato: i piatti sono gustosi e particolarmente abbondanti, anche troppo, tanto che dopocena si rende necessaria una lunga passeggiata "digestiva", con relativo caffè, giù alla spiaggia. 

Telefonata di prammatica con la rispettiva moglie/madre: "Ma la bimba ["Bimba"? Sì di 24 anni!] si è mica affaticata troppo?". Alla fine comunque la stanchezza si fa sentire davvero e ci infiliamo nei nostri letti a guardare in TV uno special sulla psichiatria: evidentemente, nonostante sia in ferie da appena 24 ore dal suo ospedale, Arianna non riesce a staccare dal lavoro. Io invece stacco benissimo e mi addormento quasi subito.

Mi risveglio nel pieno della notte per un forte mal di gola e una sete improvvisa. Vado in bagno a tentoni, trovo un bicchiere, lo riempio d'acqua e lo tracanno quasi tutto, prima di accorgermi che ha uno strano sapore untuoso; sputo quel che mi è rimasto in bocca, accendo la luce e scopro che ho appena trangugiato le lenti a contatto di Arianna e la soluzione che le conteneva; recupero subito una lente; per l'altra che si è miracolosamente fermata a metà dello scarico, l'impresa è molto più laboriosa, ma alla fine riesco a portarla in salvo. Con questo fortunoso epilogo si conclude il primo giorno che -rispetto ad altre avventure- ha fruttato un record minimo di km percorsi: 25 appena; ma so bene che non si tratta di esperienze valutabili un tanto al km, tanto più che poche scoperte possono appagare quanto un viaggio con un figlio.

 

Lunedì 4 Maggio

Dopo il bed, il breakfast : avevamo stabilito di fiondarci a colazione verso le 8, ma sono le 9 abbondanti quando scendiamo nella veranda che funge da sala da pranzo. La colazione è a buffet; su un ampio tavolo c'è di tutto: croissant, biscotti, latte, corn flakes, muesli, cracker, yoghurt, pane, marmellate, spremute, succhi di frutta... Meglio di ogni più rosea previsione. Mentre facciamo il pieno, ci portano anche caffè e cappuccino; alla fine siamo così sazi che ci alziamo barcollanti e ci vergogniamo quasi della mini-colazione "da asporto" che abbiamo immagazzinato nel marsupio e che ci servirà da spuntino a fine mattinata. La successiva chiacchierata con i responsabili della struttura sui viaggi affascinanti che hanno fatto in varie parti del mondo ritarda di un'ora il più modesto viaggio che avevamo previsto per la mattinata, ma bene o male verso le 11 stiamo pedalando in direzione di Porto Azzurro e Rio nell'Elba. La giornata, assolata, ma fresca e la buona scorta d'energia accumulata ci fanno sentire in forma e minimizzano lo sforzo per superare la prima (modestissima) salitella che precede l'ingresso a Porto Azzurro; anzi la discesa seguente a oltre 40 km/h serve a familiarizzare Arianna con le possibilità di manovra della sua bici. Ci fermiamo solo per cercare una farmacia dove acquistare qualcosa per lenire il mio fastidioso mal di gola, poi riprendiamo di buona lena. Pochi km dopo Porto Azzurro s'incontra la prima salita vera al 5% circa, ma Arianna riesce ad impostare un buon ritmo di pedalata che le permette di procedere a velocità costante senza affaticarsi troppo.  Più impegnativo è la salita seguente [hic sunt leones !], che giunge fino al bivio per Rio Marina alle soglie di Rio nell'Elba e si conclude con un ultimo tratto veramente ripido che impone di mettere il piede a terra e attendere qualche minuto per riprendere fiato. Madidi di sudore si parcheggiano le bici nell'unica piazzetta di Rio nell'Elba, (dopo che improvvidamente ho chiesto a un abitante <<Scusi, dov'è il centro storico?>> e lui mi ha guardato come fossi lo scemo del villaggio) e ci si avventura in un'escursione pedestre per i vicoli del paese, movimentati dal gioco di luci e ombre e dai colori di fiori e piante con cui gli abitanti hanno "arredato" le stradine. La tappa successiva è il museo archeo-minerario, ricco di reperti (che dalla preistoria arrivano fino al XX secolo) riguardanti gli insediamenti umani sull'isola e i loro rapporti con l'estrazione e la lavorazione dei metalli di cui il sottosuolo elbano era ricco. 

Dopo uno spuntino rapido e una rapida consultazione, si decide di rimandare (ma a quando?) il giro per Rio Marina e Cavo per evitare che a una discesa debba seguire una inevitabile risalita, allungando troppo l'itinerario di questa prima giornata; si sceglie perciò di tornare verso Lido di Capoliveri proseguendo il percorso circolare in senso antiorario  e "scollinando" dal vicino Volterraio. Ho lasciato all'albergo cartine e tabelle; perciò chiedo informazioni sulla direzione da prendere a uno del posto che mi suggerisce di scendere giù al bivio per Rio Marina, per poi risalire verso il Volterraio, per un totale di 5-6 km. Alla smorfie che, evidentemente, facciamo a sentir parlare di perdere quota per poi doverla riguadagnare raddoppiata, propone allora un'alternativa: partire direttamente dalla piazza e raggiungere la cima in 1 km circa. Abbagliati da quell'unico km e dalla prospettiva di non dover scendere e successivamente risalire, non teniamo presenti le leggi inesorabili della fisica: la pendenza è inversamente proporzionale alla distanza. Partiamo così con l'entusiasmo di chi non sa, ma lo slancio si spegne dopo neanche 100 m.: la salita è veramente tosta e anziché alleggerirsi tende a incattivirsi, tanto che prima Arianna, e dopo io siamo costretti a scendere e a proseguire faticosamente con la bici a mano; il tratto, poi, appena usciti dal paese è veramente impossibile: non c'è verso di risalire in bici e ripartire restando in sella per più di 20 m. Ci arrendiamo e proseguiamo sbuffando e ansimando; se non altro il percorso si snoda all'ombra e al fresco in un bosco di piante d'alto fusto, fino a incontrare la provinciale che avremmo dovuto prendere, se fossi(mo) stati più accorti. Dai 160 m. s.l.m. di Rio siamo saliti a 320 m. in appena un km (con una pendenza superiore al 20% in qualche punto, come scoprirò una volta tornati a casa). Da uno spiazzo adibito a parcheggio ci appare all'improvviso lo spettacoloso panorama della baia di Portoferraio e, più vicino, del colle del Volterraio, su cui si stagliano le rovine minacciose dell'imponente castello medioevale fatto costruire dai Pisani per sorvegliare dall'alto il mare e avvistare le eventuali scorrerie barbaresche. Ci fermiamo a riprendere fiato e a scattare qualche foto, poi saliti ancora un po' fino a sfiorare la base della fortezza, iniziamo la discesa a rompicollo verso la costa su una strada stretta, tortuosa e, quel che è peggio, dal fondo stradale pessimo. 

Un'occhiata alle spiagge presso Bagnaia, Ottone e Magazzini e poi di nuovo in sella, verso Lido; qualche piccolo strappo prima di raggiungere la provinciale, non pare nemmeno degno di essere menzionato come salita, dopo l'esperienza del Volterraio.

Raggiunta la base e dedicato il tempo necessario a una doccia ristoratrice, via a tavola per un'altra cena "a crepapanza", annaffiata stavolta da qualche quartino di bianco frizzante gelato. Poi tornati in camera, dopo un bucato e una stesa dei panni alquanto laboriosi, utilizzando tutte le grucce dell'armadio, ci concediamo lo sceneggiato "Il caso Mattei", praticamente una botta di vita. 
La serata si conclude con la solita telefonata a casa per rassicurare la moglie-madre: <<Sì, sì, siamo sempre vivi... No la bimba non si è affaticata per niente [cuscinata di Arianna]... Sì, il mal di gola è del tutto passato (cough, cough)... Di' al cane che torniamo presto...>>.

Clic! Buonan... Ronf, Ronf...

Martedì 5 Maggio

Sveglia alle 8: ci si alza un po' rincotti; effetto del vino, dei pasti troppo abbondanti, della stanchezza di ieri, della notte piuttosto afosa, del mal di gola, o della vecchiaia? Barrare con una crocetta la risposta esatta. Fatto sta che la carburazione è lenta e faticosa e a colazione si rende necessario raddoppiare la dose di caffè/cappuccino e dimezzare quella degli alimenti ingurgitati, compresa la colazione da asporto. E' una scelta dolorosa (sia perché è la prima volta che siamo costretti a  mortificare il nostro istinto razziatore sia perché pare che la razione extra di caffè andrà pagata  a parte, ohibò), ma è necessaria per scrollarsi di dosso la fiacca. Io ci aggiungo una rapida escursione fino a Porto Azzurro alla ricerca di un quotidiano, mentre Arianna si prepara, e in effetti l'aria frizzantina del mattino e la pedalata a tutta birra sortiscono un effetto positivo.

Ieri abbiamo coperto una trentina di km, non molti, ma con salite impegnative; oggi ci aspetta il tratto più lungo del soggiorno elbano: il giro da Lacona a Marina di Campo un po' di costa occidentale (Fetovaia, magari), poi Procchio, e infine la villa napoleonica di S. Martino. Sarebbe bello riuscire a completare l'intero perimetro occidentale dell'isola passando anche da Marciana, ma Arianna, i cui piedi sono ancorati a terra ben più dei miei, ricorda che richiederebbe troppo tempo (e fatica!).

Si parte a metà mattinata; cerco (con una coscienza non completamente limpida) di rassicurare Arianna sul carattere sostanzialmente pianeggiante dell'escursione, mostrandole la cartina che registra monti, colli o valichi; ma lei si convince solo a metà e mi guarda con qualche sospetto, che diventa certezza, quando, dopo il bivio per Lacona, cominciano i primi saliscendi; ma poi due o tre squarci panoramici sui golfi di Lacona e Stella, la discesa verso la costa meridionale e la distesa sabbiosa della spiaggia, una striscia chiara che separa il verde della vegetazione dal blu intenso del mare, la riconciliano con la fatica. Continuiamo sulla breve litoranea, finché la strada lascia la pianura (?) costiera e inizia a salire sulle pendici del monte Tambone; come prevedibile, il percorso diventa faticoso, anche per effetto del forte vento da Ovest e del sole che non risparmia braccia, gambe, colli e schiene; con incoraggiamenti ripetuti e con divagazioni pretestuose sui caprili, sulla flora e sulla fauna che dovrebbero caratterizzare il Tambone, cerco di rendere meno onerosi gli sforzi di Arianna. 

Dài, Ari che sei forte! Stai andando alla grande!

Sì, ma guarda che contrasto di colori ci offre la natura; 

E che varietà di piante...

[O che è di già briao?]  Ma se non mi reggo ritta!

Mmmh...Sarà, ma io vedo solo il nero di una fatica cane

Già, già... [Ma se  non sa riconoscere un fico da una rosa]

Ma c'è poco da attenuare: la salita è salita e dopo un paio di km lei preferisce non forzare e proseguire bici alla mano; questo, se non altro, ci permette di osservare con calma la ricchezza e la varietà della vegetazione al massimo della fioritura primaverile: lentisco dai frutti rosso acceso, cisto viola o bianco, cespugli di ginestre gialle, papaveri, sulla, margherite... è un mosaico di colori. 
Finalmente, superato il punto più alto, la strada comincia a scendere e in pochi minuti -dopo aver sfiorato i 50 km/h- si raggiunge Marina di Campo e la spiaggia. L'acqua è gelida, impossibile immergere i piedi per più di un minuto; ci si accontenta di sdraiarsi al sole per un'ora di cottura a fuoco lento; poi compiuto un rapido sopralluogo in centro, per individuare le gelaterie più convincenti e i negozi tipici in cui far rifornimento di Aleatico e/o "Schiaccia bria'a", si torna in sella per visitare almeno un tratto della costiera sud-occidentale. Così pedalando tranquillamente per una ventina di minuti e superato il bivio per S. Piero in Campo e il colle di Palombaia (con un dislivello che probabilmente non supera i 100 m., ma che permette di scorgere nettamente il basso contorno dell'isola di Pianosa, verso Sud), si raggiunge la zona di Cavoli, dove una striscia di sabbia bianchissima corona una piccola baia di limpida acqua turchese, in cui l'ombra delle barche ormeggiate si staglia nitida sul fondale. L'escursione si porta via una dozzina di km e quasi un'ora di tempo (di cui io impiego una discreta porzione a cercar invano di fotografare dei gabbiani dispettosi), ma lo spettacolo della natura in piena fioritura, delle alte scogliere a picco, delle spiagge e delle spiaggette isolate, ci ripaga ampiamente del tempo e della fatica.

Al ritorno a Marina, dopo una rapida puntata al supermercato locale e una doverosa reidratazione con 2 litri di Pepsi, raggiungiamo il negozio prescelto per gli acquisti; qui intratteniamo una lunga conversazione a carattere socio-etnografico col proprietario che si rivela in realtà un napoletano trapiantato all'Elba senza rimpianti, né nostalgie ("Noi elbani" è il suo intercalare ricorrente). Quindi, caricate le "schiacce bria'e" nelle borse e rassicurati dall'elban-partenopeo sul fatto che -a parte una modesta salitina dalle parti di Procchio- il ritorno verso Portoferraio non presenta problemi, ci rimettiamo in marcia. 
In effetti, non fosse per il vento che ora soffia forte da Nord (sempre, comunque, "in direzione ostinata e contraria"), la strada sarebbe agevole e, quando a poca distanza da Procchio troviamo un leggero pendio, ci rallegriamo che per una volta le descrizioni di un percorso da parte di un non-ciclista siano state veritiere; ma la soddisfazione "tosto torna in pianto", quando scopriamo che la vera modesta salitina inizia adesso e che tutto è fuorché modesta, anche se il dislivello totale non supera i 200 m. e la lunghezza i 2 km. Arianna impara definitivamente e a proprie spese la lezione del diffidare dei pareri altrui, oltre che della mutevolezza del vento elbano; comunque riesce a compiere anche il tratto più duro a velocità (beh, diciamo andatura) costante e senza mettere piede a terra. Finalmente la strada comincia a puntare verso il basso e, oltrepassato il bivio per la Biodola, una lunga e gradevole discesa ci porta al bivio per villa S. Martino.

La  visita alla villa napoleonica, utilizzata come residenza estiva durante l'esilio dell'imperatore all'isola d'Elba e ora trasformata in museo, inizia dai locali del piano superiore che comprendono salotti e salottini, camere da letto, studioli, saloni da ricevimento, locali di passaggio,sale da pranzo ecc. tutte arredate con mobili e oggetti d'epoca, anche se solo in parte realmente usati da Napoleone; nonostante un comprensibile tentativo di suggerire il lusso o lo sfarzo attraverso gli ori e gli stucchi, i lavori di ebanisteria, il raso e il damasco, le decorazioni e le stampe alle pareti, i soprammobili e i busti, gli stemmi e le aquile imperiali, l'impressione generale è quella di una gabbia più meschina di quanto dicano le sue dorature, nella quale sia stato rinchiuso un leone ormai inoffensivo.  Solo la spaziosa terrazza con un'ampia vista sul lontano golfo di Portoferraio, riesce ad attenuare questa specie di senso di soffocamento e decadenza. L'impressione viene, peraltro, rafforzata dalla visita al pianterreno, dove due vasti saloni ospitano una mostra di stampe satiriche del primo Ottocento: in genere l'attacco ai potenti è la caratteristica costitutiva della satira e, quanto più è pungente, sarcastico e aspro, tanto più denota coraggio e libertà, ma guardando bene la data delle vignette si rileva che le illustrazioni sono tutte posteriori all'esilio e perciò, nel loro intento di irridere e dileggiare un Napoleone già sconfitto, più che coraggiose, si rivelano inutilmente malevole e volgari. E solo adesso e per caso ci rendiamo conto che oggi non è un giorno qualunque, bensì il fatidico 5 Maggio dell' "Ei fu siccome immobile..."
La visita alla villa ha occupato la parte restante del pomeriggio e quando usciamo, quasi al tramonto, ci si accorge che rischiamo di far tardi alla cena prenotata a Villa Wanda. Perciò, partenza a razzo. Come d'incanto, complice anche il fresco della sera, il ritorno all'hotel è molto più veloce e meno stancante del giorno del nostro arrivo: in meno di mezzora arriviamo giusto in tempo per una doccia e la cena, seguita dalla consueta passeggiatina notturna e dall'immancabile telefonata a casa.  <<La bimba sta bene; tu e Otto ci mancate tanto [gomitata di Arianna]. Vorrei chiamare più spesso, ma non sempre c'è campo [seconda gomitata di Arianna]... >>

Nel complesso c'è da essere soddisfatti: al terzo giorno Arianna (io non faccio testo, sentendomi più un allenatore che il campione) ha superato i 100 km totali, di cui oltre la metà solo oggi, vincendo quasi tutte le sue battaglie contro vento, sole e salite

Mercoledì 6 Maggio

La giornata oggi non prevede lunghi percorsi, né dure salite; ci siamo infatti ripromessi di visitare Portoferraio e la sua costa occidentale, spingendoci fino a Capo Enfola; perciò ce la prendiamo, se possibile, ancora più comoda. Al termine della colazione, visto anche che nel menu della sera non ci sono piatti nuovi o allettanti, annunciamo che ceneremo fuori.

Si parte a mattinata inoltrata; anche oggi il tempo è esemplare, anzi un leggero vento a favore ci accompagna fino al bivio Boni; qui prendiamo a destra e, alla rotonda successiva, a sinistra in direzione Enfola. La strada si immerge subito nel verde con qualche saliscendi (più sali che scendi, per la verità) che Arianna affronta con spirito paziente e fiducioso, stile "Ha da passà a nuttata...", rimarcando comunque che scovare un lungo tratto pianeggiante all'Elba praticamente è probabile quanto trovare il Santo Graal. 

Andando alla ricerca della spiaggia di Sansone, che ci hanno decantato all'hotel, troviamo sulla destra un sentiero che sembra essere quello giusto e che imbocchiamo pur con qualche esitazione, dato che il manto asfaltato scompare dopo poche decine di metri. Diventato tanto accidentato da costringerci a proseguire a piedi, si apre alla fine su una piccola baia con una spiaggetta di ciottoli bianchi. Dal nome del camping che vi si affaccia capisco che la località non è Sansone, bensì quella immediatamente precedente di Acquaviva. Dopo una breve sosta torniamo indietro, ma al momento di rimontare in sella, scopro che, probabilmente per aver sottovalutato lo sterrato, ho una gomma a terra. Impiego la mezzora successiva per riparare la camera d'aria, ma dopo poco questa si sgonfia di nuovo: una toppa precedente, sollecitata dall'usura e dal calore, ha parzialmente ceduto.

Montata una camera d'aria di riserva, finalmente si riparte e in cinque minuti raggiungiamo il bivio per Sansone; si prosegue finche la strada finisce contro il muro di una villa con un cancello chiuso a sinistra e un sentiero a destra, sotto i pini. Lasciate le bici ci inoltriamo su questo, per arrivare ad un minuscolo promontorio avente di fronte un grosso scoglio conficcato in mare e tutt'intorno un tripudio di fiori d'ogni colore immersi nella maccia mediterranea, che stimolano la nostra libido fotografica. Sullo sfondo tra gli alberi a destra si intravede una baia che è ancora quella di Acquaviva. Torniamo indietro un po' delusi e nella zona delle bici vediamo un gruppo di ragazzi prima arrivare rumorosamente, poi scomparire; guardando meglio si capisce che il cancello è chiuso solo in apparenza e che quella è la vera via per la spiaggia di Sansone.

La raggiungiamo con una discesa di pochi minuti e ci troviamo di fronte a una distesa immacolata di ghiaia e ciottoli che si immergono in un mare cristallino di cui si vede perfettamente il fondo anche a distanza. L'aria, per la verità, non è altrettanto immacolata, acusticamente almeno, perché l'intera area (che ci avevano descritta come deserta e sconosciuta ai più) è invasa da una torma di studenti sorvegliati -si fa per dire- da qualche demoralizzato insegnante; al loro clamore fa eco il richiamo rauco dei gabbiani che compiono evoluzioni sulle nostre teste. Scatto qualche foto cercando di cogliere qualche loro primo piano con lo sfondo blu del cielo,  ma si mostrano poco collaborativi, per cui desisto. Dopo una buona mezzora dedicata al sole, al panorama, a qualche chiacchiera, e a parecchi rimuginii, abbandoniamo la spiaggia in balia dei ragazzi che, incuranti dei loro insegnanti, alternano lo scorrazzare su e giù lungo il bagnasciuga, il fare il bagno vestiti e l'appartarsi con rito cospiratorio in esigui gruppetti.

Dopo qualche saliscendi si giunge infine alla stretta lingua che impedisce al Capo d'Enfola di essere un'isoletta. Per la verità la vista è un po' deludente rispetto alle aspettative, complici anche lo spiazzo di cemento tra le due spiaggette che funge da parcheggio, la presenza disordinata di qualche barca in rovina, non poche cartacce o resti di picnic tra cui si aggirano goffamente dei gabbiani, che cerco, al solito inutilmente, di fotografare: si lasciano avvicinare, si mettono quasi in posa, poi al momento del clic scattano via. Il ritorno indietro verso Viticcio, immediatamente rivela tutta la bellezza dell'insenatura, che forma un arcodi mare striato di verde-azzurro, racchiuso tra l'Enfola e i rilevi che sovrastano le spiagge della Biodola. Lascio andare avanti Arianna e dall'alto, con un cornice di arbusti e rami di pino scatto una serie di foto che poi monterò in un' unica panoramica.

Al ritorno la strada per Portoferraio ci pare più breve e agevole; raggiungiamo la spiaggia delle Ghiaie, più ampia, ma meno spettacolare di quella di Sansone, anche perché ormai in ombra, e d'aspetto vagamente invernale con quelle persone vestite di tutto punto che camminano tra i resti di legni, canne e alghe depositati da qualche recente mareggiata; ci soffermiamo solo il tempo di individuare lo Scoglietto e ammirare dal basso l'imponente mole della Fortezza che sovrasta Portoferraio, poi raggiungiamo il porto e   iniziamo la visita della città.  Il centro storico, racchiuso tra il mare e la collina e inondato dal sole del pomeriggio, si rivela subito come la classica cittadina di un'isola del mediterraneo: colori vivaci, ripide salite, stradine strette, ombrose e fresche, spiazzi assolati, scorci improvvisi e pittoreschi, vecchiette che ricamano, il vociare e l'odore tipico dei porticcioli... In realtà, però la nostra prima preoccupazione, una volta parcheggiate con qualche difficoltà le bici, è quella di fermare in qualche modo i mugugni dello stomaco: è pomeriggio avanzato e, dalla colazione, non abbiamo mangiato un boccone. Ci rifacciamo, abbondantemente, in una pizzeria del centro tra focacce più o meno vegetariane e piadine di vario genere (Nutella compresa). Per ultimo lasciamo la salita al Forte e alla Villa dei Mulini, sede ufficiale del breve soggiorno napoleonico sull'isola. Anche questo edificio storico, che siamo tra i pochissimi oggi a visitare, nonostante la bella vista del mare a picco e dell' imponente fortezza cinquecentesca del Forte Stella di cui si gode dal suo giardino, lascia una sensazione di solitudine e malinconia.

Il ritorno a Lido è ancora più rapido della sera precedente: a metterci le ali ai piedi è la consapevolezza dell'ora tarda e del fatto che non abbiamo prenotato all'hotel in previsione di una cena fuori. Dopo la doccia e il cambio d'abiti è ormai buio pesto, ma riusciamo a perdere altro tempo nel decidere dove (e in ultima ipotesi, se) andare. Scartati i ristoranti sulla spiaggia di Lido e, per ovvie ragioni di tempo (e fatica & sudore), quelli di Capoliveri, ripieghiamo su Portoazzurro. Altro tempo se ne va nel montare le lampade alle bici, che poi si rivelano troppo deboli per far luce con sufficiente sicurezza. Sono ormai le 22 quando raggiungiamo Portoazzurro; di tutta la serie di ristoranti, osterie, pizzerie che credevo di aver individuato nelle mie precedenti incursioni, non c'è nemmeno l'ombra. Troviamo solo pochi locali, ma tutti chiusi o sulla via di esserlo. Proviamo con una strada che va verso l'interno, che dopo un po' diventa deserta e inizia a salire; per fortuna (o per buon senso di Arianna) chiediamo informazioni all'unico essere vivente che incontriamo, il quale ci salva spiegandoci che siamo assolutamente fuori strada e indicandoci la direzione giusta e un ristorante, l'unico sicuramente aperto.

Lo raggiungiamo; per la verità il gestore sta facendo le pulizie di fine serata, ma probabilmente, vedendoci stanchi, affamati e infreddoliti si impietosisce e ci serve un'ottima minestra di farro, seguita da contorni più che appetitosi e da un vinello tagliagambe; per finire torta della casa e una speciale panna cotta. Il rientro è un po' traballante e insicuro: la luce posteriore di Arianna e la mia anteriore hanno dato forfait e allora procediamo lentamente in fila indiana, lei davanti e io dietro. Inutile dire che appena toccato il letto il ronfo diventa generale.

Oggi era una tappa di riposo e non abbiamo affrontato tanti km e tante salite come ieri, ma ci riteniamo tutto sommato soddisfatti: abbiamo percorso una buona quarantina di km a cui si sommano quelli fatti a piedi.
 

Giovedì 7 Maggio

Quest'ultima giornata elbana prevede solo la tappa di trasferimento da Lido al porto e, una volta riguadagnata la terra ferma, il (poco glorioso, in quanto automobilistico) rientro a casa. Poiché a colazione non  vi è necessità di immagazzinare speciali quantità di cibarie,  ci alziamo presto da tavola per utilizzare al meglio il tempo che ci rimane, anche se non c'è motivo di affrettarsi particolarmente. E difatti ce la prendiamo con calma, anche troppo: tra chiacchiere, pagamenti e saluti, nonché le ultime foto a Villa Wanda, scorrono via i minuti, i quarti d'ora, le mezzore. Tra l'altro ci accorgiamo che non sappiamo neanche l'ora esatta della partenza del traghetto (e, se è per questo, dobbiamo ancora decidere a quale compagnia appoggiarci).  Alla Direzione ci informano che di sicuro c'è una nave  della Navarma alle 10.30.

Non c'è molto tempo, ma ce la possiamo fare. Radunare, smistare nelle varie buste ed infine caricare sulle bici vestiti, cibarie, carte... è questione di una manciata di minuti; ma sul punto di partire, controllate le gomme delle bici, in un empito di perfezionismo, mi viene la malaugurata idea di dare "una gonfiatina" supplementare a quella di Arianna. Al momento di togliere la pompa, la pressione dell'aria spara via la parte mobile della valvola e la gomma in un attimo è a terra; cerchiamo inutilmente il pezzo mancante, ma è impossibile riparare la gomma; la sostituzione impone di smontare nuovamente le borse.  Così quando abbiamo terminato, sono già passate le 10. Considerando che dobbiamo ancora fare i biglietti, non c'è speranza di poter prendere il traghetto. Comunque, ci lanciamo nella più folle corsa che mai abbiamo tentato; il solito vento trasversale, il peso dei bagagli, il timore delle salite e il traffico in prossimità di Portoferraio, anziché frenarci, sembrano metterci le ali ai piedi; non abbiamo guardato l'ora di partenza, ma dobbiamo  aver volato battendo ogni record, se alle  10.30 raggiungiamo il porto. Ci dividiamo: Arianna andrà al molo dov'è ormeggiata la nave, se ancora non è partita, io cercherò l'agenzia, maledicendo il fatto di non aver fatto i biglietti ieri. Finalmente la trovo, ma allo sportello ci sono due che chiedono informazioni per la settimana successiva; passano i minuti e mi sento sempre più sulle spine, anche perché se faccio i biglietti con la Navarma, ma poi perdo la nave, non potrò certo usarli con quella della Toremar e dovremo rassegnarci a perdere la mattinata e a partire nel pomeriggio. Arriva la telefonata di Arianna, per avvertirmi che il traghetto, giunto fortunatamente in ritardo, sta però per ripartire. Intanto arriva il mio turno, arraffo il biglietto e il resto e mi precipito verso il molo, dove vedo Arianna sbracciarsi per dirmi di far presto: sembra che la nave stia aspettando solo me; in effetti faccio appena in tempo a oltrepassare il portellone, che questo si chiude e poco dopo il traghetto salpa.

Dietro la scia della nave lasciamo via via il porto, la baia di Portoferraio, la costa orientale e sotto il sole cocente l'Elba torna ad apparirci sempre più piccola, sfumata di grigio-verde, come quattro giorni fa. Il cielo terso e ventilato ci invita a un ultimo bagno di sole: sdraiati su una panchina del ponte superiore prendiamo un'ultima mano di abbronzatura,  un estremo ricordo elbano che non mancherà di riaffiorare durante la notte ad ogni movimento nel letto. 

Come l'imbarco, anche lo sbarco avviene in tempi rapidissimi, alla faccia delle auto incolonnate nella stiva, e con un generoso colpo di pedale ripartiamo verso la città per una strada diversa da quella da cui eravamo discesi al porto; ma il problema che ci si prospetta subito dopo è quello di ritrovare la Panda: ricordiamo benissimo l'immagine della macchina in sosta, il muretto vicino, l'ombra di un albero, l'asfalto scuro, ma nessuno dei due si è ricordato di memorizzare il nome della via e il punto esatto in cui è stata parcheggiata. Finiamo col raggiungere l'incrocio in cui la strada si biforca in tre direzioni, centro, Aurelia, porto e non ci resta che provare a ripetere il percorso che dovremmo aver fatto quattro giorni fa, scendendo verso il porto, ma anche questo tentativo non ha successo. La situazione diventa tragicomica, anche perché il tempo passa, il caldo incalza e la prospettiva di trascorrere il pomeriggio in questa assurda ricerca è paradossale.
Prendiamo in considerazione pure la possibilità di un furto, ma, onestamente, la spiegazione è troppo fantasiosa e di comodo. La maggiore età e il ruolo di padre dovrebbero farmi sentire fortemente in colpa, ma -mi dico- anche Arianna ha la sua parte di responsabilità, avendo abbondantemente raggiunto l'età della ragione e conoscendo bene la mia sbadataggine. Poi, fortuitamente, come era nata, così la situazione si risolve: imboccando per sbaglio una strada contromano, commettendo evidentemente lo stesso errore fatto il giorno dell'arrivo, ci troviamo di fronte alla Panda. Una risata scioglie la tensione e conclude l'avventura in allegria, nonostante che inspiegabilmente le due bici si rifiutino a lungo di entrare nell'auto entrambe nella stessa posizione del primo giorno; anche loro vorrebbero prolungare questa breve vacanza?

Il viaggio di ritorno, rilassato e silenzioso al tempo stesso, induce naturalmente alla meditazione interiore e ad un primo bilancio.  Da un punto di vista pratico, o agonistico, l'impresa non è stata particolarmente rilevante: non ha avuto una lunga durata, né visitato luoghi straordinari o esotici, né coperto grandi distanze, né scalato montagne impervie, né affrontato imprevisti o vicissitudini stupefacenti. Mi chiedo allora cos’è che mi fa apparire particolare questa esperienza, rispetto a tante altre che l’hanno preceduta. Tutte mi hanno lasciato in dono qualcosa di significativo, ma mi rendo conto che, a rendere unica questa, è stata la partecipazione -inaspettata e perciò ancor più gradita- di  Arianna . Qualunque sia il tipo di attività (di svago come di lavoro), poterla condividere con chi appartiene ad un'altra epoca, tanto più se un figlio, non è solo un'occasione di compagnia, è un segno di continuità, quasi un passaggio di consegne tra generazioni, è in ultima analisi l’ antidoto migliore contro lo scivolamento, lento quanto si vuole, ma inesorabile, verso l’ultimo traguardo.


 

Lasciate che vi dica cosa penso dell’ andare in bicicletta. Penso che abbia contribuito più di ogni altra cosa al mondo all’ emancipazione delle donne. Mi alzo e gioisco ogni volta che vedo una donna muoversi su due ruote.   

(Susan B. Anthony) 

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